HomeARTICOLICannes 76: Dal Festival subito in sala "Rapito" di Bellocchio

Cannes 76: Dal Festival subito in sala “Rapito” di Bellocchio

Cannes, 23 Maggio (red Cin)- Un bambino ebreo battezzato di nascosto, una vera storia diventata un libro (di Daniele Scalise) e ora un film dopo aver tentato perfino Spielberg e incontra con Marco Bellocchio Rapito, film che doveva intitolarsi La Conversione. Il bambino ebreo Edgardo Mortara a metà ‘800 fu strappato dalla propria famiglia per essere cresciuto nel nome del cattolicesimo, giustificando l’atto drammatico come conseguenza del battesimo  ‘salvifico’che gli aveva imposto di nascosto una ragazza, cattolica, che presso la famiglia ebrea dei Mortara era stata a servizio per un periodo. “Quando letto il libro di Vittorio Messori, che contiene anche una piccola autobiografia di Edgardo, in difesa della Chiesa e del Papa Pio IX ho avuto la prima curiosità sul film”racconta  sulla Croisette Bellocchio, accolto con grande entusiasmo in sala e al festival  “ma mi sono fermato subito sapendo che il progetto aveva interessato Spielberg” In America per Il traditore  la notizia che quel film si sarebbe fermato “Così noi siamo ripartiti. Conuno sguardo anche alla Storia di oggi, però, ma senza alcuna intenzione di fare un film contro la Chiesa, la cecità della religione e che, peraltro, ho invitato a vedere il film. Mi affascinava la storia. Chi vedrà il film reagirà e giudicherà, ma il film nasce non senza alcun intento ideologico o politico, piuttosto come un viaggio complicato che ho mistrato finora ad alcuni sacerdoti che l’hanno guardato, emozionati e, devo dirlo, forse anche pensierosi” Anche alcuno ebrei l’hanno visto, guardandolo con una commozione evidente. “Abbiamo rischiato ma mi fa piacere. Poi, ho scritto al Papa per farglielo vedere e spero possa farlo, da lui mi piacerebbe avere una risposta”.

Sull’effettiva conversione di Edgardo Bellocchio parla anche di un mistero: “credo non sia mai riuscito a convertire nessuno, se non se stesso. Per gli ebrei è stata un’estrema violenza. Per lui, una conversione forzata, di sopravvivenza: ma una volta libero, il mistero è che decide di restare fedele al Papa. Non giudico ma racconto: è così, e basta” dice il regista ma qualcuno, tra i critici, ha scritto esplicitamente che il film è una summa della sua poetica e che il ragazzi che il bambino Edgardo diventa ha i pugni in tasca proprio come l’adolescente che ha siglato per anni il miglior cinema di Bellocchio. Certo, nell’Edgardo “bambino ci sono una serie di reazioni, non è completamente domato: lui cerca di conciliare i genitori e il Papa, tanto che in una scena lo vediamo togliere i chiodi dalle mani di gesù e guardarlo scendere dalla croce, come ad immaginare che un gesto di tale umaità e generosità possa essere salvifico per sé e per il Cristo che guarda immaginadolo vittima egli stesso di una stessa violenzal subita. “Il piccolo Edgardo vorrebbe salvare gli uni e gli altri, ma qui non siamo in Marcellino pane e vino dove la fedeltà franchista al cattolicesimo spinge l’autore a mostrarci che per poter vedere la mamma il sacrificio è nella morte del bambino”. Quello di Edgardo Mortara è un rapimento, un tema centrale anche nel caso Moro, che Bellocchio, ha profondamente indagato: “Non ci avevo pensato”, ha risposto il regista a chi glielo ha fatto notare  “ma  qui siamo su un piano differenti.  I due rapimenti sono  però accomunati dal tema della cecità, quella brigatista convinta che la società diverrà comunista, guidata da un partito rivoluzionario; qui invece c’è da parte del Papa, per cui non è possibile cedere il bambino: “Non possumus” (Non possiamo) era l’ultimo titolo pensato prima di Rapito, che esprimeva il concetto del ‘cristiano per sempre’. L’essere ciechi accomuna i due rapimenti”.

Meraviglioso il casting del film – in cui Bellocchio chiama a sé alcuni dei suoi interpreti “feticcio”, a cominciare da  Fabrizio Gifuni (il ‘politico’monsignor Feletti), ma anche Fausto Russo Alesi (nel ruolo del padre di Edgardo) : “So per esperienza che bisogna tentare di ritornare con gli stessi attori perché c’è complicità, affetto. Mi preoccupava era il bambino ma c’è stato un casting concentrato in Emilia-Romagna, e infine mi ha colpito di Enea (Sala, Edgardo bambino), il suo sguardo. Noi vediamo in tv tanti bambini penosi nelle pubblicità dei biscottini, qui bisognava trovare un bambino vero, che non recitasse”.

La mamma Marianna è Barbara Ronchi il papà Russo Alesi, Paolo Pierobon è il Papa e L’Edgardo Mortara adulto è il protagonista del Signore delle formiche di Gianni Amelio, Leonardo Maltese, “enigmatico e tormentato”. E alla regia, Marco Bellocchio, 83 anni, protagonista di una stagione artistica di grande vivacità conclude ringraziando per questo Francesca Calvelli,  sua moglie che è anche la sua montatrice e aggiungendo: “non siamo eterni però in questo cerco di non correre in modo compulsivo e di lavorare solo su cose che mi coinvolgono profondamente. L’età ha solo svantaggi ma hai esperienza e maggiore capacità di visione”. E se, come dice Gifuni “La contemporaneità Bellocchio è nel suo gesto creativo ma anche nella libertà che lascia allo spettatore”non resta che correre in sala e vedere il film che, al cinema già in questo fine settimana, devolverà gli incassi del primo giorno alla sottoscrizione per l’Emilia Romagna .

Must Read