Bari, 17 marzo- Il Bif&st 2024 quest’anno riserva un tributo a Marco Bellocchio. Diciassette dei suoi film da lui scelti personalmente saranno proiettati da oggi fino al 23 marzo. Ad aprire la rassegna il suo primo film, “I pugni in tasca” (1965), sul quale il grande regista si è lungamente soffermato insieme all’Avv. Enzo Augusto, nell’incontro moderato da Enrico Magrelli.
“Tra i film più significativi del cinema italiano” ha esordito Enzo Augusto “e insieme tra i più belli, con i due aspetti che coincidono, oltre al fatto che è forse l’esordio più clamoroso della storia del cinema. Resta tra i più significativi perché ha segnato un’epoca. Un’epoca in cui, tra l’altro, tutti noi vivevamo in famiglia e la famiglia veniva vista, da molti, come una gabbia, una camicia di forza dalla quale si usciva solo con il matrimonio. “I pugni in tasca” fu un pugno nello stomaco. Morboso e torbido, smontava i pilastri della famiglia borghese che pure aveva ispirato i migliori romanzi e i migliori film fino ad allora. E mi sembra che lui abbia cominciato con la famiglia e vi sia poi tornato, anche recentemente con il documentario “Marx può aspettare”. Gli chiedo se pensa, con quest’altro film, di avere terminato di esplorare il tema…”. “È una domanda che non mi sono posto”, gli ha risposto Bellocchio “è certo, però, che a distanza di tanti anni, ho fatto due film entrambi in modo molto libero. Nel caso di “I pugni in tasca” avevo appena conseguito il diploma al Centro Sperimentale di Cinematografia e avevo concepito questa storia, e a quel punto, essendo già una persona molto pratica, mi sono adoperato per trovare i soldi per fare il film. Non mi sentivo adatto a fare quella gavetta che pure avevano fatto altri grandi registi, iniziando come assistenti, aiuto-regista e così via. Ho pensato: provo a fare il film e poi, se non va, farò un’altra cosa. Non avevo nulla da perdere”.
Bellocchio ha ricordato come si rivolse, per finanziare il film, alla casa di produzione di Ermanno Olmi e Tullio Kezich che però non erano interessati e come poi, dopo una ulteriore promessa da parte di un finanziere della Brianza, fece ottenere alla sua famiglia, con l’intercessione del fratello Piergiorgio, un prestito da una banca che poi, dopo il successo del film, fu risarcito pienamente. Ma questo è solo uno dei tanti aneddoti che Bellocchio ha raccontato sul suo primo film, dalla scelta del protagonista (“Valutammo Gianni Morandi, ma suo padre disse che se avesse accettato lo avrebbe preso a calci nel sedere, la scelta di Lou Castel fu infine casuale ma fortunata”) al rapporto con i Festival (“Alla Mostra del cinema il direttore di allora, Luigi Chiarini non lo prese perché quell’anno avrebbe dovuto vincere Luchino Visconti, che non era mai stato premiato, e infatti prese il Leone d’Oro, ma io fui risarcito due anni dopo con il Leone d’Argento a “La Cina è vicina”), alle sue ispirazioni (“più che la nouvelle vague altri autori che avevo studiato come Alain Resnais, Jean Vigo, il surrealismo che però inizialmente non avevo capito”), all’accoglienza della critica (“in Unione Sovietica fu proibito perché considerato patologico, Calvino su Rinascita ne scrisse invece molto bene”), alle ambientazioni (“per l’esterno utilizzammo una villetta che sembrava un luogo di villeggiatura, per gli interni la casa di famiglia con un ampio soggiorno e altri ambienti importanti, nessuno in quasi 60 anni si è mai accorto dell’incongruenza”).
Raggiunto sul palco del Kursaal Santa Lucia dalla sua montatrice e compagna di vita Francesca Calvelli, l’incontro con Marco Bellocchio si è spostato sul rapporto professionale tra i due artisti, già al centro di un numero di “Bianco e Nero”, la rivista del Centro Sperimentale di Cinematografia che avevano frequentato entrambi. “Quando mi arriva il materiale girato da Marco” ha osservato Francesca Calvelli – “all’inizio faccio una gran fatica, perché lui gira molto e mi ritrovo tra le mani tante cose che potrebbero essere montate in maniera diversa. Ma mi capita talvolta di vederlo girare e lì comincio a farmi un’idea, magari facendo dei premontati sui quali inizia un confronto che è sempre molto dialettico”.
“Quando giravo in pellicola” ha replicato Bellocchio “c’erano i cosiddetti ‘giornalieri’, ovvero le sole riprese, e non i premontati come oggi. Che, nel caso di Francesca, talvolta rimangono più o meno così come sono nel lavoro finito”. “A volte Marco sbatte i piedi” – ha osservato Calvelli – “se ne va dalla sala di montaggio ma poi troviamo sempre delle soluzioni anche se ci vogliono mesi prima che rimanga contento”.
“Un caso emblematico della nostra collaborazione” ha ricordato Bellocchio – “è stato durante le riprese di “Esterno notte”. Avevo girato il rapimento di Aldo Moro e l’uccisione della sua scorta proprio nel luogo dove era accaduto, a via Fani, con vari problemi logistici. Francesca ha praticamente stravolto il montaggio per come lo avevo pensato e però la sua soluzione si rivelò quella giusta. Un’altra volta lei era assolutamente d’accordo sul montaggio e ci siamo fermati finché non ho rigirato delle scene che hanno consentito di migliorare il film”. “Capita di discutere” – ammette la montatrice – “ma sono conflitti volanti. In ogni caso resto dell’avviso che il regista debba avere comunque l’ultima parola e anche se talvolta ci possono essere punti di vista diversi, non bisogna a tutti i costi imporre il proprio”.
Tornando a “I pugni in tasca”, Marco Bellocchio ha ammesso che il montatore del film, il regista Silvano Agosti già regista a sua volta, trovò delle soluzioni molto efficaci per dare forza ad alcune sequenze del film. Del quale si vocifera ora di un remake americano. “Non ne posso parlare” ha detto Bellocchio “so che un regista sta lavorando a un progetto che ha a che fare con il mio film. Insomma qualcosa so ma comunque è normale che da una cosa ne possa nascere un’altra”. Nei prossimi giorni Marco Bellocchio proseguirà a discutere del suo cinema con altre personalità del cinema e della cultura, fra le quali Sandro Petraglia, Stefano Rulli, Nicola Piovani, Annelore Homberg, Jean Gili, Anton Giulio Mancino, Alberto Crespi, Michele Placido, Luigi Cancrini, Davide Milani e lo storico Luciano Canfora.