
Venezia, 5 settembre- “Il film è una mappa della condizione umana. Non è solo il ritratto di un uomo, ma è il ritratto di questo mondo”. Parola di Gianfranco Rosi che ha presentato fuori concorso a Venezia 79 il suo doc su Papa Francesco dal titolo In viaggio, in sala il 4 ottobre con 01 distribution.
Trentaquattro viaggi in nove anni, e un “Papa in costante movimento da un posto all’altro”, il regista di Fuocoammare, Notturno, Sacro Gra sceglie di inquadrare il Santo Padre “fuori dalle mura vaticane e nei luoghi più colpiti dai drammi dei nostri tempi”.
“Ne è venuto fuori un pellegrinaggio inverso che ci ha portato nei luoghi più nascosti del mondo mettendoci in contatto con situazioni spesso drammatiche”, dice il regista, che poi racconta come è andata la realizzazione del film.
“Il montatore ha visionato più di 600 ore di materiale- prosegue-. Non ho mai lavorato con l’archivio e con materiali che non avessi girato io. E non sapevo se da questo poteva nascere un film. Ma ho selezionato del materiale girato per esigenze televisive e poi ho cercato di trasformarlo in modo cinematografico. Il primo montaggio era per libere associazioni, poi con il dramma della guerra non aveva più senso come avevamo montato il film e allora abbiamo seguito la struttura cronologica del film. Sembrava uno sbobinamento delle sue encicliche”.
Un film che Rosi definisce “aperto”. “La guerra è diventata un punto di arrivo e purtroppo è ancora un arrivo aperto per cui questo è un film in divenire. Ho vissuto un po’ il film da spettatore”.
Tanti i temi affrontati nei suoi viaggi: le migrazioni (Lampedusa, 2013, Messico, 2016) la povertà (le favelas brasiliane nel 2013 nel suo primo viaggio apostolico pastorale), i conflitti nelle terre dimenticate (Repubblica Centraficana e Kenya, 2015), i muri che ancora dividono (Palestina) e quelli sacri come il Muro del Pianto a Gerusalemme, le catastrofi ambientali (Filippine), i genocidi subiti (Armenia) e i bombardamenti nucleari (Giappone).
Qualcosa che avrebbe voluto raccontare e che purtroppo non è riuscito? “Non ho potuto filmare i suoi momenti spirituali e di meditazione, dove trovava delle nuove energie per ricaricarsi. I silenzi sono importanti”, risponde Rosi. E invece qualcosa che lo ha profondamente colpito? “Quando è andato in Canada e ha chiesto scusa per quello che avevano fatto i missionari ai nativi, lo ha definito un olocausto culturale. È un Papa che chiede perdono a nome della Chiesa ma anche come persona. Mi ha colpito molto anche l’incontro con Erdoğan in Turchia”.
Ma il Papa lo vedrà il film? “So che il Papa non vede i film su di lui. Non ha visto neanche quello che aveva fatto Wim Wenders (ndr. Papa Francesco – Un uomo di parola, doc del 2018)”.
Infine conclude: “Non sono credente, ma mi sono avvicinato a questo mondo senza giudizio. Non faccio domande nei miei film e cerco di trovare le risposte nella vita. Tutto ciò che accade avviene fuori dalle mura: è questa la forza del film”.