
Berlino, 9 Febbraio (red.Cin.) – Un olocausto dimenticato, oltre la musica e la rappresentazione di un mondo apparentemente distratto nelle serate jazz dell’occupazione nazista sulle quali appare, sullo schermo, la storia di Django: come sempre coraggiosa l’apertura della 67ma Berlinale con il film sullo sterminio dei rom che racconta la storia crudele di Jean Reinhardt – ‘Django’ – il musicista nato nel 1910 in Belgio, straordinario jazzista nonostante il danno per le gravissime ustioni dopo il violento incendio razzista della sua roulotte.
Étienne Comar, al suo primo film da regista, lo racconta nella Francia del ’43, dove Django è apprezzato anche dagli ufficiali tedeschi e il suo impresario lo vuole in tournèe nella Germania o di Goebbels e del fuhrer. Ma la “musica negra” è troppo swing e fa scandalo. mentre la sua comunità è bersaglio di una persecuzione razzista violenta e senza possibilità di salvezza.
La sua parabola – dal successo alla persecuzione razziale – assume oggi un significato universale e forse per questo il film, con il suo taglio politico, ha conquistato subito anche il Direttore del Festival che lo ha scelto per l’apertura. “Ci siamo finalmente occupati di una comunità maltrattata dalla storia, abbiamo incontrato molti rom che ci hanno accolto a braccia aperte”, ha detto il regista presentando il film. “Certi elementi come le vicende dolorosa dei rifugiati e le persecuzioni razziali sono purtroppo sempre di attualità” dice ancora il regista che ha scelto di chiudere il film con il Requiem per le vittime rom composto proprio da Django. Ed eseguito la prima volta proprio subito dopo la liberazione. Senza dimenticare che se Woody Allen lo ha citato in Accordi e disaccordi, Sergio Corbucci ha chiamato così – proprio in onore della sua musica – il suo protagonista che ha sete di giustizia.