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Giffoni, Toni Servillo: ‘Con Sorrentino c’è alchimia’

Giffoni, 22 luglio- Basta ascoltarlo per sentire l’odore dei camerini e del palcoscenico. Per immaginare copioni, sceneggiature e libri divorati. In silenzio e in solitudine, come ha più volte sottolineato ai juror che lo hanno accolto con emozione nella sala Truffaut della Cittadella del cinema.

Toni Servillo è un divo antidivo, un intellettuale autentico, militante, che conquista con la forza del pensiero e della passione una platea giovanissima, ma straordinariamente preparata. “Sono felice di tornare qui – dice – Giffoni è uno dei festival del cinema più belli del mondo, non solo d’Italia”. E a due giorni dall’arrivo nella Multimedia Valley di Paolo Sorrentino, racconta: “Abbiamo appena girato il settimo film insieme (La grazia, ndr) e sul set l’entusiasmo era immutato. Una volta un produttore amico ci disse che ci eravamo fatti del bene reciproco. Aveva ragione perché tra di noi esiste un profondo legame umano oltre che professionale. Gli devo moltissimo: è stato il primo regista a concedermi di interpretare un ruolo da protagonista a tutto tondo. Ed è soprattutto uno sceneggiatore e un dialoghista eccezionale. Evidentemente, poi, avverte anche la mia docilità ad adattarmi ai suoi ruoli e posso dire che ci soccorriamo a vicenda. Mi considera il suo fratello maggiore – sottolinea con affetto – E mi ha fatto interpretare addirittura suo padre. Il nostro segreto è probabilmente la capacità di rinnovare sempre la curiosità”. A chi gli ha chiesto di L’uomo in più, ha chiarito che fin dagli esordi Sorrentino “manifestava l’interesse a raccontare personaggi che stanno per raggiungere il successo e poi conoscono il declino”. Ed è proprio nel racconto di una parabola che passa per il fallimento che si compie l’essenza del diventare umani, tema dell’edizione di #Giffoni55.

“Dovete coltivare il valore della vita – ha detto Servillo ai ragazzi – Una vita che è continuamente oltraggiata. Si uccide per nulla e questo è uno scempio. Ricordate, il cinema non deve raccontare solo buone favole ma anche i valori che vengono vilipesi”. Alle domande sulla sua carriera, ribatte senza esitazione: “Non ho mai pensato di fare carriera. Sono stato ferito nella scoperta del teatro e a 17 anni con alcuni compagni di scuola abbiamo fondato una compagnia nella massima libertà e senza aspettarci niente. Dovete essere voi stessi a scoprire piano piano il vostro talento e a capire se può essere utile agli altri. Se immaginate il mestiere dell’attore come un posto di lavoro partite con il piede sbagliato”. Ogni personaggio, è una sfida diversa: “Credo sia più difficile interpretare persone realmente esistite, perché devi trovare una strada originale che non corrisponda all’idea del pubblico. Non mi è mai piaciuta l’idea dell’imitazione del biopic. Certi film, come Il Divo, colgono un aspetto di un personaggio in un momento particolare del nostro Paese. Ho cercato di intensificare la realtà per offrire una figura simbolica che non fosse una banale copia. E’ invece molto interessante vestire i panni di un personaggio che è frutto della poetica di un autore che si impone allo spettatore. Pensare che per tantissimi Jep Gambardella sia una figura in carne e ossa è un risultato straordinario che mi riempie di soddisfazione”.

Al cinema “ho avuto la fortuna di scegliere sempre i film che volevo fare, privilegiando il legame umano e la condivisione di orizzonti intellettuali con registi e autori. Sono stato fortunato? Diciamo che non mi sono mai fatto condizionare dalle logiche di mercato. Il mio approccio è questo: il personaggio va guardato dal basso verso l’alto, come se fosse qualcuno più affascinante di te per cui devi metterti al suo servizio. Questo a teatro accade sempre e può accadere anche al cinema”. Il palcoscenico è e resterà sempre il primo amore: “Chi mi conosce sa bene che Eduardo De Filippo è stato uno dei miei autori di riferimento. Alla soglia degli ottant’anni, prima di entrare in scena, diceva che gli batteva il cuore e gli tremavano le gambe. Se non senti questa vibrazione, allora non hai talento. Lo diceva anche Louis Jouvet, un grandissimo attore francese: la paura arriva con il talento”. Quanto al tema di #Giffoni55, per diventare umani “occorre fare palestra e la mia è stata il teatro. E’ una delle ultime esperienze di spettacolo affidata alla condivisione umana, in un tempo e in uno spazio umani, dove predomina uno sforzo scenico totalmente umano. Basti pensare che con le compagnie teatrali condividi pezzi lunghi e importanti della vita, sogni e ambizioni, ma anche errori e insuccessi. Questo ti aiuta a sviluppare un pensiero critico in maniera autonoma perché il teatro non ti tratta come un consumatore da intrattenere all’infinito, ti risuona dentro come quando leggi un buon libro o ascolti un bel concerto. Non sei da solo, come qualcuno prova a farci restare, condividi. In questo senso il teatro mi ha aiutato a restare con i piedi per terra”.

E a chi pensa che l’attore passi la vita saltando di party in party, con un drink a portata di mano, Servillo dice: “E’ un lavoro che richiede sacrificio e che obbliga alla solitudine. Io ho dovuto rinunciare a infinite altre possibilità della vita per avere disciplina, orari, trascorrendo gran parte del mio tempo solo in una camera d’albergo. Esisterà sicuramente qualcuno che incarna il mito del genio e sregolatezza, ma non mi ha mai appassionato. Basta leggere la biografia di Chaplin: sembra scritta da Dickens”. I pericoli di oggi sono il mercato e la realtà, “entrati a gamba tesa per tarpare le ali della fantasia che stanno alla base del gioco rappresentativo. Eduardo credeva che si potesse ottenere il massimo della verità dalla massima finzione. Oggi vogliono renderci piatti e farci credere che la finzione di certi orribili reality sia vera. L’attore, invece, è l’antitesi di questo: lavora sulla finzione per ottenere la realtà”.

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